La resistenza invisibile dei subalterni

21-05-2025

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Anarchico, ironico, astuto, generoso, James Campbell Scott ha pubblicato decine di libri ‒ senza contare articoli, conferenze e apparizione pubbliche ‒, e ciascuno è stato in grado di generare un dibattito arrivato ben al di là dei confini abituali di un professore ordinario di antropologia alla prestigiosa università di Yale. Insieme a Colin Ward, David Graeber, Noam Chomsky e pochi altri, James C. Scott è uno di quei pensatori che ci ricordano il motivo per cui la critica radicale rimane un’esigenza fondamentale di qualsiasi tempo, come quella di smascherare il volto innocuo di qualsiasi potere per tenere vivo il desiderio di un futuro, se non migliore, almeno più autentico e consapevole.

“Il modello classico dei rapporti cooperativi tra grande e piccola tradizione – un modello che esalta collaborazione, reciprocità e complementarità – è l’ideologia sociale del patronato” o, in parole povere, l’idea che la Storia sia una sola, per le città e le campagne, fa parte della struttura oppressiva del potere ai danni delle popolazioni geograficamente marginali.

Oggi molte delle lotte politiche di resistenza locale contraddicono il modello di Scott. Movimenti come quello No TAV in Val Susa o mosaici di battaglie territoriali come quelli dei Soulevement de La Terre in Francia o, ancora, le lotte dei popoli indigeni dell’Amazzonia contro i cercatori d’oro e lo Stato brasiliano sono istanze locali che riescono benissimo a intercettare temi globali come l’ecologia, l’oppressione e la lotta allo sfruttamento dei territori. Locale e universale si saldano, da un lato come concrezione di un problema politico in una situazione, dall’altro come espressione astratta e violenta di un’idea.

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